martedì 9 settembre 2014

Non

Scrivere non allontana la morte. Non serve ai posteri, non fotografa paesaggi. Non conduce all'immortalità, e nemmeno alla piccola fama. Scrivere testimonia che tu e quei fatti, qui momenti, quelle persone, eravate vicini quel giorno. Scrivere è una pietra miliare che nessuno legge per decenni. Te la ritrovi quando credevi di aver perso memoria di quel momento, Allora la puoi condividere

lunedì 1 settembre 2014

Padri folli. Cronache minime da un OPG


“ Salve, posso sedere qua accanto a lei?”
“ Certamente”
“ Pausa lavoro?”
“ Si, a dire il vero ad ogni pausa che il mio lavoro mi concede vengo qua”
Si conobbero in quel modo, in un posto fuori dal tempo che nessuna cartina riportava.
Parlano poco, guardavo il fiume.
Guardare è un verbo che mente, giacchè nulla di cui l’uomo può scrivere potrebbe mai descrivere i silenzi pieni di verbo che i due si passavano.
Nessuno aveva mai chiesto all’altro che lavoro facesse. Ognuno preferiva credere che l’altro fosse li, apposta per lui, a dedicargli tempo.
Un illusione di disponibilità che si sarebbe infranta se uno dei due avesse confessato di avere un vero lavoro, condannando quel contrattempo ( contro il tempo) a una concessione di un ritaglio di tempo dato anche ad altri.
“Domani non potrò venire”
“E perché mai?”
“Questioni di lavoro”
“Dunque avete un lavoro?”
Illusione infranta
Quell’uomo non aveva più tempo per lui.
“Si è no, non un lavoro normale.
Le debbo una spiegazione.
Un tempo anche io avevo un lavoro, un lavoro normale . Un lavoro nella norma.
Ma nel tempo non mi andava più di andare in quel posto, fatto di gente che spendeva il proprio tempo a fingere di aver tempo per altri. Tempo comune, tempo codificato. Avevamo otto lunghe ore, ma nessuno aveva tempo per me”
L’altro inebetisce.
“ Ne avevo abbastanza. Poi mi innamorai di una donna.
Nel tempo trovavo il tempo di pensare solo a lei.
Non devi” dicevo tra me e me. Ma questi sono i pensieri del giorno, sono le puttanate che inibiscono l’uomo nel suo essere e lo rendono adulto. Normale, stabile. Presente, professionale e cazzate varie.
Lei si muoveva come un fuscello di paglia, aveva i capelli color oro, trattenuti da un spago chiaro e intrecciato. Una gazzella che fendeva l’aria senza muovere null’altro che i pensieri di chi la guardava.
I colleghi mi deridevano, mi isolarono
Venni messo , come le balene moribonde, al margine estremo della spiaggia è il posto nel quale vengono confinate le persone gentili. Spesso sole.

Mentre si avvicinava a aveva gli occhi grandi, pieni di desiderio. Aveva gli occhi di chi vuole solo sentire il tuo corpo, il tuo profumo, le tue braccia. Non avrei dovuto farlo, avrei fatto tardi al lavoro, l’indomani mattina. L’indomani al sorger del sole, il sole che rende i rapporti umani insopportabili. Perché son chiari, perché devono obbedire al rituale sino in fondo .
Il corpo ragazza è un avvertimento mandato dalla morte, dalla morte in persona. E’ l’attimo che dovresti saper cogliere. E’ lo spogliarsi delle convenzioni, dei rituali. E’ l’antichità dell’essere umano. E’ l’uomo e la donna. E’il profumo della pelle depurato dalla immondizia della vita del giorno appena passata. E’ il rossore delle gote del sangue che circola in fretta. E’ il palpito del muscolo cardiaco che capisce che, forse solo quello, è l’unico momento vivo della giornata intera. Il cuore non pensa, si ammala e paga le stronzate che la mente gli fa fare, ma non pensa. Agisce. Chiama l’animale antico, lo mette in moto, si preoccupa di distribuire il sangue in giro, in fretta. A tutti i muscoli che in quell’incontro servono.
L’indomani mattina provai il gusto di non perdere il suo sapore.
L’antica bellezza di non lavarsi .. Tenere il corpo e la pelle ancora impregnati, rinunciare a passare quella schifezza collosa e profumata tra i denti per conservare sino al mezzogiorno il sapore di quelle labbra giovani.
A mezzogiorno in casa magari c’è la solita schifezza fatta di pollo e nauseanti salse. O la cucina di casa sua. Quale carne mai può avere un sapore più dolce e sanguigno della carne delle labbra di una donna ?
Restai con lei due giorni, dico, mio dio, solo due giorni! Me ne fregai della gente, tutta quella gente che pretenderebbe che tu non fumassi il sigaro, immemore di costringerti per buona parte della giornata ad ascoltare, assorbire, inalare, ingoiare tutte le loro tristissime parole consuete, fatte di nulla fritto con il loro fiato di vecchi.
Quegli stessi manichini pensanti che sono pronti a puntare il dito e accantonarti come un monatto se, illudendoti di viver ne regno animale puro, osassi dire 'l'ho fatto'. ”.
Sinceramente non immaginavo fosse una clandestina. Ma che singifica clandestina?
Mia moglie se ne andò di casa, portando via mio figlio.
Crollai in un torpore dal quale mi risvegliai solo dopo pochi giorni.
Poi, una mattina , non mi fecero più entrare in ufficio.
Clandestino? Irregolare?
Sbraitai con tutta la forza che avevo in corpo-
Vennero a prendermi, mi dissero che ero diventato matto, che non avrei più dovuto andare al lavoro.
Ora me ne sto per la maggioranza del tempo tra le mura bianche di quell’edifico.
Ho una bella finestra, ma nessuno con cui parlare.
Prendo medicine colorate.
Non so se stavo meglio prima o adesso sono felice.
E’ certo che prima avevo un lavoro normale, ora ho un lavoro da pazzi”.



Era rimasta, in mezzo alle piaghe del volto e alle membra ricurve,
un umanità inattaccabile. Fermo come una cosa sorda all’acqua, cieca al sole. Immobile come lo sono quegli oggetti violati e gettati nel pattume. La chimica dirigeva i suoi pensieri, i suoi circuiti neuronali semplici e mozzati. Gli occhi roteanti erano il solo ricordo di un uomo che era stato vivo, prima che le scariche di corrente penetrassero nei pensieri più nascosti.
Il tempo si era fermato nel corso di un pianto.
Non sapeva cosa fosse un padre pazzo, non gli avevano detto a quale spettacolo sarebbe andato incontro.
Nessuno di quelli passati da li riconosceva i familiari.
L’attesa e l’elettroshok erano la pena prima del giudizio. Una condanna già scontata prima che il giudice emettesse una sentenza. Uomini che dovevano giudicare altri uomini solo dopo che questi erano passati nell’infermeria, con i rotoli di cotone e gel sulle tempie. Uomini che non riuscivano a giudicare una colpevolezza che si spegneva sotto i volt.
Fu tuttavia uno stupore intimorito e condiviso quello che colpì le guardie e gli infemieri quando aprirono la porta di legno avvicinando il bambino.
Lo videro alzare la mano livida e passarsi le dita sul capo, come a pettinarsi. Inconsapevole del suo sguardo bruciato, certo di un viso che non era più tale.
Tossendo sangue si levò in piedi e strisciò sul muro cercando nelle pietre la forza per alzarsi. Non volle specchi, solo il vecchio maglione felpato.
Aprirono la porta intimoriti e il bambino, lesto, fuggì dalla loro morsa correndo incontro al padre chiamandolo per nome.
Si fece prendere ed alzare, sentendo quell’amore paterno che le scariche non avevano bruciato.'