venerdì 31 marzo 2017

Valerio che non voleva partire

 Valerio, che non voleva partire per la Russia, e scelse la via del seminario. La sua storia ha tessuto intere stagioni raccontate da mia nonna, mentre fuori faceva un freddo che non si osava sfidare. Giovanni, che invece incappò nella spagnola, e rese sua madre, cioè la mia bisononna, una donna velata di nero, liberata dagli affanni della vita solo quando la stessa malattia si prese anche lei. Ma i ricordi dal fronte, tracimavano nelle geste degli emigrati. Uno spostamento lieve, pochi chilometri, sino a Massa Carrara, ma simbolicamante tale da dover creare per il padre assente un vuoto da colmare con la narrazione. Parole e scene di vita quotidiana che riempivano i natali, le pasque e le pasquette. La storia della mia parte toscana è un avvicendarsi di assenze. Onofrio, scomparso in Russia. Adelmo , rimasto in Abissinia a fare il coltivatore. I racconti hanno fatto in tempo a mutare da mito scemando in contemporaneità, quando descrivevano osvaldo, pescatore, impazzito d'amore sino a perdere il senno, mentre vagava sui bordi del Magra a cercare pace. Wilmo, che non sopportava di fare l'operaio all'Enel, e terminò la sua vita sotto il binario che viene da Pontremoli. Tutte queste voci sono la linfa , il fiume invisibile che scorre sotto a queste strade, queste pietre incastonate, queste pareti fredde e scrostate che mi accolgono quando faccio ritorno qua, in alta toscana. Mi siedo, riappaiono le gesta dello sbucciare d'arance, lo sfrigolio del ceppo ancora verde. Il rituale del liquore al mandarino. Prima di coricarmi, devo passare in sfilata un esercito di ricordi, una lunga ed interminabile catena di parole e discorsi che qua dentro si facevano, che ancora sento echeggiare. E' solo questo passato che rende sopprtabile un presente di garage che si alza meccanicamamente, bollete da scartare, cassetta della posta ingolfata di offerte del supermercato. Il reale è insopportabile senza la vita dei ricordi.

lunedì 20 marzo 2017

Viaggio

Non è che torni quel che eri. Nemmeno se ti agghindi come al tempo ce la fai. Al massimo rimedi una figura stonata e fuori tempo, un grottesco travestimento da quello che eri. Però passare tra il filo spinato sopra le due rocce accanto alla capanna, fermo di fronte al fiume che non si è spostato da li. Sedersi sopra il castagno, quello del tempo in cui nessun pensiero pesava più di una foglia. Il tempo dei sassi e dei pesci. Del falò e del buio. Quel percorso dietro la collina, vicino alle arnie. Bè, qualcosa di quel tempi ti assomilgia ancora. Mancano le voci , i profumi si sono edulcoratI. Ma valeva la pena questo viaggio. Fosse solo per il piacere di inzaccherare i pantaloni e nessuno che te ne faccia vergogna o alzi il naso. E poi, da ultimo, il caffè al bar della stazione che resiste all'automazione, con il distributotre di nocciole e i biglietti piccoli rettangolari. E le mentine forate, i pistacchi. Qualcosa di quel tempo mi assomiglia ancora.