Con
le parole che ho trovato nella seconda metà della vita,
sono tornato
indietro nel tempo e nei luoghi,
e ho potuto dire tutto quello che mi
affliggeva ma non aveva un nome.
Ciò che mi faceva piangere e disperare, ma non
poteva essere detto, perchè non avevo i termini adatti.
La madre ammalata, il
padre assente e poi troppo vicino.
La solitudine e i complessi per la mia
mole.Il linguaggio bonifica il passato, lo riordina.
Dare un nome alle cose
sconosciute, non toglie loro il potere di
affliggerti. Ma strappa momenti
troppo dolorosi per essere ricordati da una dimensione di r-i vissuto, a quella
di un passato raccontabile.
Era
bella quella sensazione di indicibile accecante che prendeva al mattino, che
non si chiamava alba ma 'sveglia'.
Era persino inebriante lo scarico del camion
che, mentre pedalavo con la Graziella, dava stordimenti mai conosciuti prima.
Ignorare
i nomi delle cose aveva anche un lato piacevole, a volte misericordioso.
Non
conoscevo il significato di 'inguaribile', 'terminale', ' impazzito'.
Tutto era
un frullare di eventi casuali, legati ora alla sorte ora al merito, che non
potevano essere ingabbiati dal linguaggio.
Erano di per se vivi e non
classificabili e, pertanto, evitabili.
Fu
li, nel tornare dalla vacanze estive, che mi fregarono.
Dovere, compiacere,
obbedire.
Salutare e dire addio a chi, troppo avanti con gli anni, non sarebbe
stato li ad aspettarti l'estate successiva.
Se
non mi avessero inculcato il termine 'per sempre', sarei corso ogni mattina di
Giugno sulla strada strattonando la nonna con le 50 lire per il mezzo cono
del
gelataio con l'apecar gialla.
Se non esistesse quel dannato sistema normativo
che toglie la speranza, lei sarebbe tornata.
ll campo sarebbe tornato verde
dopo l'incendio.
Erano
le frasi ' piano piano ti rassegnerai' recitate come un mantra depressivo
mentre di notte si tornava in automobile che hanno spianato la strada
agli
abiti cinici del divenire adulti.
Un ragazzino non avrebbe mai
guardato le previsoni del tempo rinunciando al mare per la pioggia prevista.
La
pioggia era una cosa bella, mica una perturbazione
.La parola buca il
buio ed illumina i silenzi.
Per scrivere davvero bene, o si possiede una mente totalmente pacificata e priva della minima ombra che permetta di vedere lontano, oppure si hanno in testa demoni violenti per i quali la scrittura è l'unico sortilegio che li placa. Il resto è solo un battere di tasti
ancora qua, ad aspettare quel cambiamento mai venuto, quella novità che non ha bussato alla porta. A sperare che qualcosa ci stupisca, ci cambi o porti via. Che il tempo diventi bello, che gli amici ritornino, che gli anni bui mutino in vapore. Ancora qua, dicevo, imperterriti a percorre le stesse strade, a battere gli stessi tasti. Con uguale rassegnazione, certi che la sola speranza di un nuovo nasce se il passato si sgretola. Solo la scrittura lo ha immaginato, solo con le parole su carta abbiamo dipinto quelle vette che non raggiungeremo mai, quelle sterzate che non siamo grado di dare. Quella telefonata che non riusciamo a fare, qual non che ci muore in gola, quell'abbraccio rimandato sino a divenire un gesto di sale.
La commessa muove i soliti tasti, il latte ha il medesimo sapore. La pioggia porta ancora umido e il gatto ancora perde il pelo sul tappeto. Il nuovo arriverà, domani. Basta saperlo scrivere.
Con la parola ci si toglie dalla tomba del
lutto, si ricuce il filo della propria esistenza amorosa. Qualsiasi disciplina
conduca l’intoppo di un uomo di nuovo nel reticolo della parola, è una
disciplina salvifica. Sia essa la filosofia, la psicoanalisi, la consuetudine della chiacchera serale, la
telefonata che giunge inaspettata.
Se vuoi uccidere un uomo, costringilo a tacere.