sabato 30 aprile 2016

Ancora qua

 Per scrivere davvero bene, o si possiede una mente totalmente pacificata e priva della minima ombra che permetta di vedere lontano, oppure si hanno in testa demoni violenti per i quali la scrittura è l'unico sortilegio che li placa. Il resto è solo un battere di tasti
Ancora qua, ad aspettare quel cambiamento mai venuto, quella novità che non ha bussato alla porta. A sperare che qualcosa ci stupisca, ci cambi o porti via. Che il tempo diventi bello, che gli amici ritornino, che gli anni bui mutino in vapore. Ancora qua, dicevo, imperterriti a percorre le stesse strade, a battere gli stessi tasti. Con uguale rassegnazione, certi che la sola speranza di un nuovo nasce se il passato si sgretola. Solo la scrittura lo ha immaginato, solo con le parole su carta abbiamo dipinto quelle vette che non raggiungeremo mai, quelle sterzate che non siamo grado di dare. Quella telefonata che non riusciamo a fare, qual non che ci muore in gola, quell'abbraccio rimandato sino a divenire un gesto di sale.
La commessa muove i soliti tasti, il latte ha il medesimo sapore. La pioggia porta ancora umido e il gatto ancora perde il pelo sul tappeto. Il nuovo arriverà, domani. Basta saperlo scrivere.

giovedì 14 aprile 2016

Figlia mia, danza

Figlia mia, non credere al corpo.
E’ una promessa di eternità che non verrà mantenuta.
Ti guardi riflessa, convinta che sarà per sempre.
Devo trovare il tempo di dirti che quello della nonna, si è ammalato. Quello di tuo padre si va incurvando. 
I tuoi amici e le tue amiche, a gara nel farlo piu’ bello, colorato e prestante.
Riempilo un po’, con i pensieri di chi lo ha trascurato, con le cure di chi lo stava smarrendo. Conservalo bene, ma non credergli mai del tutto.
Basterà la febbre a 40 per sfatare questo mito. Sarà una caduta vertiginosa dentro le parti piu’ nascoste del tuo essere, un consapevolezza della pelle, delle membra, delle ossa, delle cartilagini.
Una sensazione di essere ridotto a giunture e vasi sanguini.
Quando avrai la febbre,  pensare, dissertare, filosofare non ti sembreranno altro che appendici inulti di una struttura fatta di carne ed ossa, per la quale il pensiero è come una sorta di religione dell’epidermide , buona perché il corpo non rifletta troppo sul suo essere a tempo.

Danzando dimenticherai. Potrai così si può imbatterti in una bellezza nascosta correndo intorno ad un vilalggio industriale abbandonato. Capannoni sfondati , erba cresciuta in solitaria. Il fine di una costruzione è quella di essere abitata, come quello di un nome è di essere parlato. Sono ruderi scrostati perchè la cura degli uomini se ne è andata per case più piccole e più urbanizzate, per non dover penare. Il prato è incolto di un erba cosi' alta da flettersi immediatamente appena la calpesti. Aprire la finestra è ripetere quel gesto fatto migliaia di volte dai chissà quanti che   hanno abitato quella stanza verde, con la ruggine padrona delle stanze. Anche la ruggine si arrende se la calpesti . 

 .
L’incanto, figlia mia,  è un’ eccezione in temi così rapidi.
Ero e resto, convinto che i momenti di sorpresa possano considerarsi come attimi di vita in una tediosa ripetizione di automatismi.
Ti ricordi quel ragazzo visto sotto i portici?
Era in posizione supina, capace di sostenere il peso dell’intero corpo con una sola mano aperta a palmo intero sul selciato. 
Con piccoli movimenti del polso riusciva a far roteare tutto il corpo, disegnando un ellisse in movimento.
Alzandosi, mimava le gesta di un ballerino classico con movimenti sincopati, poggiando la mano destra sulla tempi, facendo da li partire una scossa che muoveva il corpo come segnato da un onda sottostante. Il tutto senza musica, provvisto solo di un ipod la cui musica era celata agli sguardi dei passanti.

I salti che riusciva a spiccare, cadendo nello stesso punto di partenza, erano il condensato di anni ed anni di allenamento, passati in chissà quale cono d’ombra della vita. Avvitato come nella morte del cigno, si abbassa e declina, fermando il tempo nella posizione della carriola, seduto a terra, con ancora la forza di passare avanti agli astanti col cappello in mano per qualche soldo. Non ho trovato la forza di dirgli quanto io mi sia sentito inutile, fermo, ossidato e bloccato nell’osservare le sue movenze. Chi possiede il dono della danza, ci consegna alla vita del criceto nel cerchio, con pochi sfortunati che hanno tempo di accorgersi del dramma dell’immobilità. Ricordalo