domenica 7 febbraio 2016

Non potrò piu’ scriverti, perché fa freddo.



E’ il risultato quello che conta. Se è vero che si nasce per non essere soli, lui doveva aver sbagliato qualcosa. O forse in lui qualcosa era sbagliato. Qualcosa di grosso. Si, il fascino dell’isolamento lo aveva ghermito, poco dopo l’adolescenza. Ma si sà, è il periodo nel quale ci si sente unici ed inimitabili. Ce ne aveva messo di tempo per sopravvivere alle parole del padre  (‘ buffone! non vali nulla, e se piangi, vali ancor meno!), almeno, questo credeva. Guardandosi dietro alle spalle, scoprì’ che quella parole erano andate talmente in profondità, da aver plasmato le sue ossa. In pratica, era cresciuto con quei comandi. Butta cosa il male da dentro, quando nasci mentre il padre ti augura la morte.  Era davvero troppo solo per credere al fato o alle circostanze. Tutto il suo camminare aveva puntato in una sola direzione: la solitudine,da qualche parte convinto di non valere davvero nulla, di essere realmente un idiota, un impacciato sbaglio della sorte. La sua vita, della quale cercava di fare un bilancio, era un esperienza di solitudine che andava al di la della comprensione  'Seduto, in silenzio. A raccontare una vita. Ma quale? Non l'ho vissuta, l'ho attesa scambiando la prudenza per cammino. Lo stallo per protezione. La vita ora è passata, sono senza ferite ma senza storia da narrare' raccontava. ' Io non sono sempre stato quel cinico che conoscete' disse.
' ho conosciuto momenti di stupore, di commozione e, perdinci, anche di trasporto. Per me tutto era nuovo ogni giorno. Io ricordo quel pomeriggio di dicembre, seduto al bar sotto la stazione, quanto mi sono intenerito nell'andare a casa di Assunta che stava per ricevere Amalia, la vecchia farmacista, recante in dono un panettone, una bottiglia di spuma e una di cognac. In quel paese c'era un unica bottega, erano le prime confezioni regali che si vedevano. Le compravano tutti li. Non solo Assunta ricevette il panettone con le due bottiglie, ma lei stessa lo regalò all'amica. Tutto il paese non faceva che scambiarsi un pacco verde con dentro le medesime cose, delle medesima marca. Capii allora che il valore di un oggetto è dato da quel surpuls di amore che lo confeziona, anche a costo di diventare ridicolo e grottesco.  Poi venne la malattia, i colpi. Passò tante  dal letto di ospedale, e altrettante  lo avevano  iniettato di soluzioni per anestesia, che risvegliarsi per lui non era più una sorpresa, ma il timore che l’alba sia l’ultima. ‘Sono solo e mi dispiace’, mi disse, ‘ che nessuno  nessuno passi a portarmi quei panettoni che tengo a mente, sin da ragazzino. Si vive e si muore ignorando gli altri, con le proprie storie ai margini di vite che crediamo piu' grandi. Non ci si racconta perchè ci si crede privi di interesse. Non si esce di casa, perchè non ci si aspetta piu' un giorno nuovo. Dio bono, quanto piacere mi farebbe un pò di compagnia prima di andarmene’.
‘Avresti dovuto cercare, cercare ancora’ si ripeteva.
Ricordi il tempo in cui sei stato male? Non c'era nessuno accano a te. Scendevi dal letto, lavavi la faccia, correvi in strada prima che il desiderio di farla finita si impossessasse di te. Mi cercavi, ma io non c’ero.
Eri bello, prima del male. Il tuo viso si è tumefatto per i colpi che provenivano da dentro. La tua voce da roca è sfumata in uno stento.
‘Non perdonare , non dimenticare’ ti dicevo.
‘Ricorda i visi, gli artigli, tocca con le dita la profondità delle piaghe.
Leggi, leggi i foglietti dei farmaci che hai dovuto prendere per non impazzire.
Il perdono è per chi ha ferite lievi, piccoli tagli.
L'oblio è per chi crede in un altrove.
La tua carne di uomo è troppo tagliata, le mani di padre sono troppo incerte, perché tu possa perdonare.
Così come il sole che vedi non ti riscalda, e il freddo non ti punge.
Ricorda, sino alla fine, conficca il tuo corpo nel cuore di quel terreno duro di sguardi di pietra, di parole fredde. Tanto tempo e tanta indifferenza, ti hanno tramutato in un Golem impazzito, condannato a camminare senza uno scopo, a correre senza meta.
Una macchina disperata, che non conosce sosta , alla quale non è concessa la pace.
La pace, quella dei tuoi nemici, non concedergliela
Vivi un giorno in piu' dei tuoi carnefici.
Di a tua figlia che lo hai fatto anche per lei!
Quante volte te lo dissi

Vedevo il tuo sgretolarti. I passi, i visi, gli sguardi, nulla riusvia piu’ a fermare il terreno,  a contenere la frana che da dietro ti mangiava le spalle, ti faceva sentire il fiato corto. Il terreno franato è quella parte di vita sulla quale hai poggiato male  le gambe. Le pietre che pensavi sconnesse si sono disposte in un altro ordine. Una via capace di mostrati orizzonti che non credevi esistessero, volti amici, il cui sorriso hai preferito non vedere. Un odore di terra finalmente gradevole, una piccola frana nella parte piu’ tarda della tua vita. Una fatica arrivare sin qua, uno spreco  la prima parte della vita. Ma tu non mi ascoltavi. Dovevi diventare vecchio, saggio, sedere sulla frana.  Ricordo che scegliesti di scrivere.   Nell’istante in cui prendesti quella decisione, avverti’ la morte come costretta a prendere tempo. Tempo, quell’elemento  che ti aveva fregato. Non c’era tempo sufficiente, forse non ce ne era mai stato. Il tempo, quella variabile che tutti tendiamo a trascurare. Quel domani che crediamo infinito. Se credi all’immortalità, perché mai dovresti scrivere?Scrivere era un mestiere per poveri di futuro.Non avevi messo in conto il furto del furto, la possibilità, remota, di incontrare qualcuno o qualcosa capace di ipotecarlo a tal punto da accorciarti la vita. La depressione, la camera a gas dell’aria, il cortocircuito del tempo.Tempo, tempo, tempo passato a pregare, a sussurrare. A corteggiare, a correre.Di colpo, tutto finito. In quella dimensione di sofferenza e ritiro, si chiudeva e riassumeva una vita. La tua. Riconsiderasti tutti quei momenti nei quali, seduto davanti alla testiera, avevi considerato lo scrivere come tempo perso.Lo era, si, perché il tempo ti avanzava. Ora, che il quotidiano si era rappreso in pochi istanti che si davano il cambio come a fine turno, le cose erano cambiate. Valeva la pena scrivere. I tuoi pensieri , incompleti, avrebbero potuto diventare il pezzo mancante di discorsi altrui, piu’ importanti ed articolati. La tua fine, poteva essere l’incipit di qualche racconto di chi aveva più tempo. Ma avevi smesso di ascoltarmi. La gioventu’ progressivamente inquieta e spaventa. Quel tempo che ti avanzava, diventava prezioso. Ci si ritrovò goffi, farfuglianti davanti ad una donna, rigidi ed impacciati verso il figlio che ti salta in braccio. Campare da consumati è assai peggio che ammalarsi.
Amico caro
te lo dicevo da tempo che fuori è buio,
che scendono i lupi,
che saresti stata in pericolo.
Se fossi stato li con te, la notte non ti avrebbe sorpreso.

Te lo avevo detto di abbracciarmi. Non avresti visto quello che resta della notte.
Ora è tardi, il respiro che sento poggiando le mie mani sulle tue,
è un sibilo gelido, un vento di chi se e sta per andare.


Non potrò piu' scriverti nulla.
Ora che manchi,  patirò freddo.


Adesso è tardi, dormi.

Dormiamo