venerdì 6 gennaio 2017

Piccole mani


‘ A questo, dunque, serve  una figlia?’
Insistenti e penetrati si facevanoo i suoi rovelli di padre, tormentato dal rimorso per ciò che soleva fare, nottetempo.
Ho, nulla di che, si badi! 

L’azione per il quale non cessava di sentirsi in colpa, era quella di tenere la figlia per mano, di notte, mentre dormivano accatastati sul lettone che, già molto prima della mezzanotte, aveva perso qualsiasi sembianza conosciuta per tramutarsi in un groviglio confuso e stratificato di coperte dai colori inabbinabili-

La notte non era per lui, ormai da molti anni fonte di ristoro.
I demoni del passato, non certo quelli dostoevskijani, venivano regolarmente a fargli visti attorno all’imbrunire, per dare vita ad un sabba onirico che verso le 4 del mattino raggiungeva il culmine.
Dolore, facce ghignanti, frasi maledicenti, incubi ricattatori. Ogni notte tutta questa  sarrabanda andava in scena. Quello che gli psichiatri chiamavano ‘disturbo post traumatico da stress’, era una narrazione che non prevedeva futuro e non proiettava null’altro che un oggi infernale ripetuto ossessivamante.

Ma, questa era la scoperta, i diavoli si arrestavano sulla soglia della mano della figlia.
Una sensazione di nuovo, immacolato e puro calava sulla sua notte, concedendogli quel riposo che aveva dimenticato ormai da anni.

Forza fragile e nuova, difesa dal buio del passato.
Le loro mani unite  creavano un tunnel spazio temporale, dove  un papà ancora giovane e forte poteva giocare e ridere, come la figlia mai lo aveva visto fare.
Ricordi di orizzonti scrutati, mari solcati ed indicibili stravaganze di felicità apparivano in controluce dai negativi del passato di un padre ormai spento, ma interiormente capace di cercare l’amore di quella figlia. 
Per quelli come lui, che non avevano un Dio, c’erano le sue mani