‘ A questo, dunque, serve
una figlia?’
Insistenti e penetrati si facevanoo i suoi rovelli di padre,
tormentato dal rimorso per ciò che soleva fare, nottetempo.
Ho, nulla di che, si badi!
L’azione per il quale non cessava di sentirsi in colpa, era
quella di tenere la figlia per mano, di notte, mentre dormivano accatastati sul
lettone che, già molto prima della mezzanotte, aveva perso qualsiasi sembianza
conosciuta per tramutarsi in un groviglio confuso e stratificato di coperte dai
colori inabbinabili-
La notte non era per lui, ormai da molti anni fonte di
ristoro.
I demoni del passato, non certo quelli dostoevskijani, venivano
regolarmente a fargli visti attorno all’imbrunire, per dare vita ad un sabba
onirico che verso le 4 del mattino raggiungeva il culmine.
Dolore, facce ghignanti, frasi maledicenti, incubi
ricattatori. Ogni notte tutta questa sarrabanda andava in scena. Quello che gli psichiatri chiamavano ‘disturbo post
traumatico da stress’, era una narrazione che non prevedeva futuro e non proiettava null’altro che un oggi infernale ripetuto ossessivamante.
Ma, questa era la scoperta, i diavoli si arrestavano sulla
soglia della mano della figlia.
Una sensazione di nuovo, immacolato e puro calava sulla sua notte, concedendogli quel riposo che aveva dimenticato
ormai da anni.
Forza fragile e nuova, difesa dal buio del passato.
Le loro mani unite
creavano un tunnel spazio temporale, dove un papà ancora giovane e forte poteva giocare
e ridere, come la figlia mai lo aveva visto fare.
Ricordi di orizzonti scrutati, mari solcati ed indicibili
stravaganze di felicità apparivano in controluce dai negativi del passato di un padre ormai
spento, ma interiormente capace di cercare l’amore di quella figlia.
Per quelli come lui, che non avevano un Dio, c’erano le sue mani
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