venerdì 13 maggio 2016

Parole passate

Con le parole che ho trovato nella seconda metà della vita, 
sono tornato indietro nel tempo e nei luoghi, 
e ho potuto dire tutto quello che mi affliggeva ma non aveva un nome.
Ciò che mi faceva piangere e disperare, ma non poteva essere detto, perchè non avevo i termini adatti.
La madre ammalata, il padre assente e poi troppo vicino. 
La solitudine e i complessi per la mia mole.Il linguaggio bonifica il passato, lo riordina.
Dare un nome alle cose sconosciute, non toglie loro il potere di 
affliggerti. Ma strappa momenti troppo dolorosi per essere ricordati da una dimensione di r-i vissuto, a quella di un passato raccontabile.
Era bella quella sensazione di indicibile accecante che prendeva al mattino, che non si chiamava alba ma 'sveglia'.
Era persino inebriante lo scarico del camion che, mentre pedalavo con la Graziella, dava stordimenti mai conosciuti prima.
Ignorare i nomi delle cose aveva anche un lato piacevole, a volte misericordioso.
Non conoscevo il significato di 'inguaribile', 'terminale', ' impazzito'.
Tutto era un frullare di eventi casuali, legati ora alla sorte ora al merito, che non potevano essere ingabbiati dal linguaggio.
Erano di per se vivi e non classificabili e, pertanto, evitabili.
Fu li, nel tornare dalla vacanze estive, che mi fregarono.
Dovere, compiacere, obbedire.
 Salutare e dire addio a chi, troppo avanti con gli anni, non sarebbe stato li ad aspettarti l'estate successiva.
Se non mi avessero inculcato il termine 'per sempre', sarei corso ogni mattina di Giugno sulla strada strattonando la nonna con le 50 lire per il mezzo cono
del gelataio con l'apecar gialla.
Se non esistesse quel dannato sistema normativo che toglie la speranza, lei sarebbe tornata.
ll campo sarebbe tornato verde dopo l'incendio.
Erano le frasi ' piano piano ti rassegnerai' recitate come un mantra depressivo mentre di notte si tornava in automobile che hanno spianato la strada
agli abiti cinici del divenire adulti.
Un ragazzino non avrebbe mai guardato le previsoni del tempo rinunciando al mare per la pioggia prevista.
La pioggia era una cosa bella, mica una perturbazione

Per scrivere davvero bene, o si possiede una mente totalmente pacificata e priva della minima ombra che permetta di vedere lontano, oppure si hanno in testa demoni violenti per i quali la scrittura è l'unico sortilegio che li placa. Il resto è solo un battere di tasti
ancora qua, ad aspettare quel cambiamento mai venuto, quella novità che non ha bussato alla porta. A sperare che qualcosa ci stupisca, ci cambi o porti via. Che il tempo diventi bello, che gli amici ritornino, che gli anni bui mutino in vapore. Ancora qua, dicevo, imperterriti a percorre le stesse strade, a battere gli stessi tasti. Con uguale rassegnazione, certi che la sola speranza di un nuovo nasce se il passato si sgretola. Solo la scrittura lo ha immaginato, solo con le parole su carta abbiamo dipinto quelle vette che non raggiungeremo mai, quelle sterzate che non siamo grado di dare. Quella telefonata che non riusciamo a fare, qual non che ci muore in gola, quell'abbraccio rimandato sino a divenire un gesto di sale.
La commessa muove i soliti tasti, il latte ha il medesimo sapore. La pioggia porta ancora umido e il gatto ancora perde il pelo sul tappeto. Il nuovo arriverà, domani. Basta saperlo scrivere.

.La parola buca il buio ed illumina i silenzi.
Con la parola ci si toglie dalla tomba del lutto, si ricuce il filo della propria esistenza amorosa. Qualsiasi disciplina conduca l’intoppo di un uomo di nuovo nel reticolo della parola, è una disciplina salvifica. Sia essa la filosofia, la psicoanalisi,  la consuetudine della chiacchera serale, la telefonata che giunge inaspettata.

Se vuoi uccidere un uomo, costringilo a tacere.

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