mercoledì 24 maggio 2017

Takamine

Ho riconosciuto subito le note che hai tirato fuori dal quella carcassa nera, mentre ti sono passato davanti in auto. La radio abbassata di colpo le ha fatte risuonare in modo preciso, antico.
Sono il proseguio dei quelle infinite sonate con le quali incollavamo le lunghe e inutili giornate estive, sulle valli dell'alta toscana. Compagno di ricordi di un periodo nel quale potevamo sprecare tempo. Siamo morti e rinati mille volte con le note di quella chitarra. Me lo dicevi spesso di ascoltare Woody Ghutrye, e che le sue canzoni mi avrebbero tenuto saldo quando le cose care avrebbero iniziato a sparire. Non mi dicesti, allora, che tra le cose care che sarebbero sparite, la prima eri tu. Non era il lavoro, l'amore, gli affari. Nulla di tutto questo. Eri semplicemente allergico alla vita che ci si prospettava innanzi a, e suon di musica te ne sei allontanato.
Ho visto subito il tratto della mano, la mossa del polso. Se fosse stato solo per la madonna di gesso dipinta, non ti avrei riconosciuto. Ma quando hai imbracciato la takamine color ebano, ho capito subito che tutta la tua musica ti aveva sostenuto per questo tempo di vita lontana.
Difficile dire chi abbia avuto miglior o peggiore fortuna, tra noi. Difficile, perchè non ce ne è mai importato nulla della fortuna o della vita in se, vista come un assemblaggio di momenti da legare con lo spago della musica.
Sicuramente sei rimasto bello come lo eri, anche se sotto la barba folta e bianca. Di certo non hai imparato nè la reverenza nè il buon senso.
Ci ho impiegato tempo per capire che hai scelto di non salutarmi, perchè forse avevi vergogna degli stracci che indossavi.
Non ho trovato il tempo, il coraggio, la forza di tornare indietro, per dirti che sotto la cravatta, sono rimasto lo stesso straccione con le scarpe marroni e i colletti improbabili che tanto ci facevano ridere. E che, grazie a Dio, non sono diventato nè educato nè rispettoso.
Quindi riprenderò l'autostrada e tornerò dietro la piazzola, domattina, prima di andare in studio, cercando quegli spartiti che sono rimasti stracci e spiegazzati come lo erano le nostre giornate.
Tutto sembra essere cambiato, incattivito. Tutto appare vecchio. E' che i ricordi mio caro, non sono altro che la vita che hai scelto, e prepotente torna a bussare alla porta mentre sei intento a rispondere al telefono.
Devo tornare, come un esperienza ultimativa di fine vita da non rimandare.
Non c'è nulla che ci porti via, che ci distragga o ci migliori. Ci resta solo la possibilità di assaporare quel tempo vissuto, e ripensarlo seduti sopra ai sassi del ponte mentre si tiravano le nasse, o mentre si fantasticava di improbabili futuri musicali.
Ho poi letto 'Morte a Credito', come mi suggerivi. Avevi ragione.
E' stato un cuscino di luce nei tempi bui.
Te ne devo assolutamente parlare.

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